Un percorso da “zingaro intellettuale” quello di Luigi Alessio, che sceglie l’avventura, il caos, la fame, il vagabondaggio, l’introspezione a scapito dei rassicuranti valori borghesi, dell’impiego garantito, della vita solida e abitudinaria. Una scelta non del tutto volontaria, vista la denuncia all’OVRA e il licenziamento perentorio da La Stampa in seguito alle segnalazioni che lo qualificano come avverso al regime.

Destinato all’esilio per evitare pericolose ritorsioni e sfuggire alla galera, Alessio sceglie quale meta di confino la Parigi dell’ultima bohème, la patria dei reietti, il covo dei rinnegati, la metropoli dei sognatori. E così Alessio diventa Alex Alexis, smette i panni del giornalista subalpino e indossa gli stracci consunti dell’artista senza fissa dimora, perennemente in balia degli eventi, costantemente a caccia di un tozzo di pane, di una coperta, di labbra amiche e di un lavoro che ne garantisca un minimo di sussistenza. Nei meandri oscuri e babelici di Montparnasse Alexis non cerca la salvezza, non aspira al successo, non brama a rientrare nei ranghi. Presto la sua fuga assume i connotati di una sfida esistenziale, una discesa irrevocabile nelle profondità dell’animo umano, una spedizione improvvisata e solitaria ai confini dell’azzardo, della solitudine, dell’introspezione più feroce e nichilista.

La sua eterna caccia alla verità si snoda fra i vicoli male illuminati della Ville Lumière, nell’oscurità di alloggi fatiscenti, sui tavolini sbrecciati dei caffè di Montparnasse, nei cuori e nelle menti di altri evasi, nelle carezze e negli sguardi di visi angelici lentamente evaporati tra le nebbie notturne della città. Anime di esiliati è il resoconto abbacinante e umanissimo, lucido e impietoso, della vita sommersa dei rifugiati affollanti le strade di Parigi. Le sagome notturne incrociate da Alexis sono uomini e donne che hanno perso tutto o quasi e si ritrovano in terra straniera, abbandonati al proprio destino, perennemente in bilico tra la perdizione, l’oblio, il desiderio di riscatto e il bisogno, disperatissimo, d’amore. Tra questi troviamo Vassili, sedicente pittore pigro e mendace, alienato e monomaniaco nel suo amore mitizzato per Ludmilla, principessa russa costretta a sopravvivere offrendo il proprio corpo nei bordelli parigini. Entrambi votati all’autodistruzione, entrambi intenti a sopravvivere e a nascondersi, a omettere la verità per evitare di ferire e ferirsi.

Troviamo il filosofo ateo Boris, il cui cadavere viene vegliato da altri compagni di sventura, anch’essi bohémien, anch’essi costretti all’esilio e alla fame, in un’atmosfera rarefatta da incubo e da leggenda, con una macabra corda ancora appesa alla trave dello studio, sbornie difficili da smaltire, concertazioni esistenzialiste e timide proposte circa il da farsi con l’eredità del defunto.

Troviamo Stefania, giovane proscritta austriaca irretita dal fascino della capitale, desiderosa di scrollarsi di dosso i genitori con i quali condivide un’angusta stanza senza luce e senza vita, musa sedotta e delusa del protagonista.

Troviamo il polacco Perzinsky, uno strano personaggio, vischioso e insistente, dedito a predicare la futilità della vita e la necessità del suicidio. Troviamo il fedifrago e ipocrita Gugginiello, pingue e viscido pseudo-letterato ossequioso al fascio, che a Parigi si reca per soddisfare i propri istinti carnali e sfruttare per pochi franchi chi, come Alexis, deve accettare compensi da fame per tradurre in tempi brevissimi ingenti quantità di testi…

Anime di esiliati è dunque la cronaca quotidiana di un refrattario, un vinto, un disadattato che anela a una tregua nella sofferenza, aspira a un barlume di calore umano nel buio dell’esistenza, senza mai cedere alla tristezza o all’autocommiserazione, specchiandosi nei volti segnati degli spiriti dannati che popolano il quartiere, riconoscendo in ognuno di essi il proprio destino di flutto preda della corrente, di zattera alla deriva, nella speranza di raggiungere un giorno l’infinito oceano della pace interiore.

Sullo sfondo una Parigi basculante come un vascello senza timoniere, le cui tinte fosche e teatrali oscillano fra il sogno e la visione, in un tourbillon di sconfitte, delusioni, stenti, ardori mistici, crolli inesorabili, desideri impossibili… La penna cinica di Alessio colpisce senza pietà i ricordi, le ansie, il desiderio di rivalsa, gli affetti e non da ultimo la speranza. Cammina a braccetto con Nostra Signora Povertà come un condannato scortato verso il patibolo, sperando in un intervento salvifico di un deus ex machina che puntualmente giunge, prorogando l’agonia illuminata di un uomo alla ricerca disperata di se stesso.
Pochi centesimi, un tozzo di pane, la promessa di un impiego. E la ruota ricomincia a girare, la caccia prosegue, l’uomo si addentra sempre più fra i meandri di una notte infinita e languida, sperando di ascoltare, ancora una volta, il canto ipnotico delle sirene…