Luigi Alessio, in arte Alex Alexis (Caramagna 1902 – Caramagna 1962), nasce nel cuneese da un’agiata famiglia borghese (suo padre Antonio è medico). A soli nove anni rimane orfano di entrambi i genitori e viene affidato alle cure dei nonni materni a Torino. Nel suo romanzo autobiografico In grigio e nero (1931) ne parlerà come di un ambiente ostile, nemico, crudele e violento.
Nel 1919, senza soldi e con pochi stracci, segue D’Annunzio a Fiume, più per disperazione che per patriottismo. Una volta tornato a Torino, s’iscriverà all’Università di Giurisprudenza, ambiente ricco di brillanti intellettuali e futuri scrittori, ma non porterà a termine gli studi. Nello stesso periodo comincia a collaborare come cronista presso La Stampa e dopo qualche anno, nel ’23, fonderà la rivista Teatro, importante punto d’approdo per numerosi autori italiani e stranieri. La rivista gli permetterà di farsi conoscere in ambito letterario e di stringere nuove amicizie: ricordiamo, in particolare, quella con Pitigrilli e il pittore futurista Fillia. Fonda la casa editrice Rinascimento, ma nel ’26, coerentemente con il suo carattere randagio e anticonformista, la cede a terzi preferendo l’attività giornalistica. Attività che si concluderà definitivamente a seguito di una denuncia all’OVRA da parte della zia materna. Comunista, Alessio è costretto a dimettersi e a cercare fortuna oltre i confini nazionali. Sceglierà Parigi, capitale europea per eccellenza, covo di esuli e rinnegati, romantico e lascivo ricetto di pittori, poeti, inventori, disadattati e reietti di ogni razza e ceto sociale.
Inizia, nel ’27, la personalissima saison à l’enfer di Alessio, che si trova immediatamente a suo agio in quel covo di sognatori antiborghesi, vinti ma non abbattuti, sconfitti nell’aspetto ma non nell’animo, forgiati dalla fame, dalla miseria e dall’eterno vagabondare. Faro intermittente nella nebbia di una babelica e confusionaria miscellanea urbana, il quartiere di Montparnasse. Il Dôme è la sua casa, con quella brodaglia che i francesi hanno il “coraggio di chiamare caffè”, e il nugolo di artisti e ballerine che lo abitano la sua circense e precaria famiglia. Quella vera invece è rimasta a Caramagna e di tanto in tanto avrà la possibilità di visitare Parigi con un cicerone d’eccezione: un padre e marito perfettamente compreso nel ruolo di bohèmien dalla penna feconda e dal portafoglio asciutto.
Nel ’33 traduce lo scandaloso romanzo di Céline Voyage au bout de la nuit per i tipi della Corbaccio. Alle prese con una lingua nuova, un mix di argot e di neologismi partoriti dalla mente tormentata del dottor Destouches, i tavoli del Dôme come scrivania, la compagnia rumorosa di avventori ubriachi e affamati come sottofondo musicale, Alessio consegna il romanzo in tempi record e fino al 1992 la sua sarà la traduzione scelta a veicolare la penna caustica e piena di vita del medico condotto parigino.
Nel ’34, ottenuto un po’ di denaro dalla vendita di alcuni beni in Italia, Alessio fonda a Parigi la casa editrice Les Editeurs Associés, proponendo una formula innovativa: stampare per le bancarelle, investendo in grosse tirature e vendendo direttamente le nuove edizioni a prezzo di liquidazione. Questo progetto gli consente un’entrata sufficiente, oltre alla curiosità di altri editori, intenzionati a investire nel progetto. Ma Alessio non intende restare intrappolato nelle maglie del commercio e nel ’35 abbandona l’impresa.
Quattro anni più tardi la guerra batte alle porte e lo scrittore si trova a Caramagna. Decide di rimanere in Italia: prima a Torino, poi nel 1940 è a Roma, dove resterà fino alla fine delle ostilità. Sopravvive come può, barcamenandosi tra collaborazioni radiofoniche, finti reportage di guerra, seguitando a scrivere commedie leggere e sceneggiature per il cinema.
Nel ’45 è a Milano, dove per l’editore Lucchi scribacchia libercoli da quattro soldi sul nazismo e sul gran conflitto. L’anno seguente fa ritorno a Caramagna, dove cerca di fare breccia nel panorama letterario nazionale. La scorza c’è, il materiale anche: vede e rivede il tomo Due sogni di gloria, romanzo autobiografico rimasto inedito, e ci prova con altre sue vecchie opere. Si affanna e si spreme, ma è tutto inutile.
Due anni dopo, nel ’47, riprende la via dell’esilio parigino. L’ambiente è cambiato, le collaborazioni anche. Tira a campare scrivendo romanzi a dispense, traducendo per i rotocalchi, comparendo in qualche lavoro redazionale sotto anonimato. Il fantasma della grande letteratura lo ossessiona, costringendolo a rielaborare le migliaia di pagine nascoste fra i pochi effetti personali che si porta appresso. Novelle, pièces teatrali, romanzi, poesie, sceneggiature… Sono pagine inchiostrate col sangue, testimonianze di un martirio infinito, di una ricerca di verità inappagata, sempre oltre la linea di fondo, sempre al di là della tenebra quotidiana, a caccia di un varco, uno spiraglio, una fessura dove prendere una boccata d’aria prima di rientrare nell’oscurità.
La salute, intanto, come gli affetti e le speranze, lo abbandona. Nel ’60 il corpo piagato, provato da sofferenze morali e fisiche, perennemente in bilico fra stentorei periodi di carestia e bulimiche gozzoviglie, è andato appesantendosi, gravando sulla claudicante camminata da chi è allo stremo delle forze e procede per inerzia.
La memoria imbarca acqua, quel gioco di equilibri precari che è la fede in se stessi pencola vistosamente verso la depressione, acuendo le insofferenze e il malessere fisico, costringendolo a un impaludamento delle facoltà mentali e dei riflessi motori. Ma Giotu, anche se la sua imbarcazione è ormai fatiscente e destinata al naufragio, non abbandona il timone e crede fermamente nella produzione letteraria di una vita, in quelle pagine inchiostrate nelle condizioni più inumane, e persiste nel correggere, revisionare, tagliare, aggiustare, ricostruire.
Dopo un periodo di degenza al Cottolengo di Torino, dal quale evaderà senza troppi complimenti, lo attendono gli ultimi sprazzi di vita. Ricoverato in ospedale nel 1962, esala l’ultimo respiro il 5 aprile.
Di lui rimangono i cocci di una vita vissuta ad altissima tensione, perennemente sull’orlo del baratro e scudisciata dal destino come il vogatore di una galera puntata dritta verso l’orizzonte, destinata a oltrepassare i limiti della fiducia, del coraggio, del rischio.
E a navigare, finalmente, oltre le nubi di una notte interminabile.