Il primo aprile 1815, nel villaggio di Schoenhausen, vede la luce colui il quale restituirà alla Prussia dignità, fama e potenza, assicurandole un dominio che neppure il più temerario dei suoi cittadini osava agognare. Il suo nome è Otto von Bismarck e a partire dalle prime pagine della monografia di Alessio s’intuisce come la figura dell’uomo che più di ogni altro segnò le sorti europee del XIX secolo sia ammantata da un velo di grandezza solitaria, monolitica nella plaga di una burocrazia sterile e corrotta, di velleità regali poco ambiziose e di un desiderio di riscatto che permane sopito nel cuore abbattuto dei tedeschi.

7 ottobre 1806. Il re di Prussia, Federico Guglielmo III, dopo dieci anni di forzata neutralità, prende posizione contro le mire espansionistiche di Napoleone Bonaparte, intimandogli di ritirarsi immediatamente dal suolo germanico. Una settimana esatta più tardi l’Imperatore risponde direttamente sul campo: vittoria simultanea delle truppe francesi a Jena e ad Auerstadt, conseguente uccisione del fratello del re Luigi Ferdinando, esercito prussiano sconfitto e decimato, Prussia conquistata e ridotta a stato satellite dell’Impero. Tredici giorni più tardi Napoleone fa il suo ingresso trionfale a Berlino dinnanzi a una folla smarrita e attonita.

Il regno di Guglielmo III è sotto il giogo tirannico del Piccolo Còrso, le forze prussiane sono state spazzate via dal genio tattico del Conquistatore e la nazione ha ormai il futuro segnato. La Prussia è ora costretta a patire l’arroganza dei vincitori, schiava delle velleità francesi e umiliata dalle imposizioni del padrone transalpino. Dal crollo rovinoso della spada nibelungica, dall’inesorabile logica marziale di una guerra perduta, dal cadavere di una nazione-fantoccio al soldo di un condottiero che le impone restrizioni e impedimenti, non può che sorgere uno spirito foderato di odio, rabbia, volontà, irredentismo. La tempra d’acciaio cui il popolo tedesco avrebbe dovuto dotarsi, secondo Fichte, è condensata in un individuo solo; l’intelligenza tattica di decine di generali è nel cervello di un unico, instancabile, statista; il cinismo lucido e spietato di una nazione battuta miseramente è condensato nel cuore del più dotato dei suoi figli.

Bismarck ha uno scopo e tutta la sua esistenza è volta al suo perseguimento: non ci sono distrazioni, ostacoli o successi che possano impedirne la stoica e perseverante riuscita. Si tratta di rendere la Germania unita sotto l’insegna del Secondo Reich, facendo della Prussia il pinnacolo economico, politico e militare dell’impero. Si tratta di rinvigorire l’animo alemanno, per troppo tempo lasco e afflitto dai detrimenti subiti negli ultimi anni. Si tratta di mostrare al mondo di che pasta sono fatti i tedeschi, vendicando col sangue le fiumane sparse sui campi di Jena e Auerstad, infliggendo ai francesi una lezione che ricorderanno a lungo.

Luigi Alessio non nasconde la sua stima per Bismarck ed è difficile non condividerne la simpatia, soprattutto grazie alla prosa nitida e perfettamente aderente al personaggio. Bismarck è un uomo dai molteplici tratti, affatto levigati o addomesticati: la sua energia incandescente, capace di portarlo a invadere la Danimarca come di presentarsi in tribunale in veste da notte, è parte integrante dell’indole vincente e coraggiosa del tolle Junker (lo Junker arrabbiato, come lo chiamano i compagni di università), la stessa che lo porterà a imparare cinque lingue, ad amministrare saggiamente le proprietà agrarie di famiglia e a intraprendere una carriera politica che a tratti ricorda quella del principale nemico della Germania. Oltre all’irruenza sfogata sui libri (Shakespeare, Béranger e Goethe sopra tutti), nelle lunghe cavalcate, nei duelli alla spada della prima giovinezza, Bismarck è un uomo dall’intuito precoce e dall’intelligenza acuta. Riesce in breve a conquistare la fiducia di Federico Guglielmo IV e a convincerlo della sua bravura. La fedeltà alla corona, le capacità oratorie, l’astuzia diplomatica gli permettono di ottenere in breve la carica di primo ministro e di gestire finalmente la politica estera prussiana come avrebbe voluto. La conquista della Danimarca, la guerra contro l’Austria e infine l’epica resa dei conti con la Francia, che si concluse con l’immediata vittoria a Sedan, immolano il gigante dai lunghi baffi sul tetto d’Europa.

Un’opera costata quarant’anni di sacrifici e sforzi notevoli: la costruzione del sostrato politico germanico, le negoziazioni, le alleanze, le provocazioni, le inversioni di rotta sul fronte diplomatico, il mantenimento di una stabilità interna inizialmente impensabile… Ogni vittoria prussiana, ogni conquista germanica passa attraverso l’indefessa dedizione dello Junker alla causa. In lui vi è perseveranza, maniacalità, velocità d’esecuzione, coraggio, intuizione, tattica, ferocia, carisma. Ma in Bismarck, oltre all’indiscutibile patriottismo, a un fervido obnubilamento di ogni passione e allo straordinario genio strategico, vi sono anche aspetti più reconditi che attendono all’introspezione e alla meditazione e che hanno rilevanza pari alle doti politiche. Il profondo amore della solitudine vissuta tra i cespugli d’uva spina, lambendo le foglie larghe dell’ontano nero e del sambuco, lo porta sovente a indagare la propria interiorità, a scandagliare il passato, a riconsiderare se stesso e ciò che lo circonda. La vera passione del grande Cancelliere non sono la guerra, le conquiste o il consolidamento di una supremazia teutonica, quanto la pace e l’armonia destate dal raccoglimento in un campo di grano, all’ombra di una quercia sfrondata, sulle rive di un lago liscio e lucido come lo spirito di un soldato di Dio.

La vera forza della monografia di Alessio è data proprio dall’echeggiare di questi attimi poetici, di fede sincera, di repulsione nei confronti della mondanità e di ricerca introspettiva, i quali ci mostrano un aspetto di Bismarck complementare alla sua furia politica, ai rischi calibrati, alla lotta verso ogni forma di debolezza caratteriale e morale. L’autore dosa sapientemente le parole e i fatti, accompagnando il lettore, con la grazia dello storico che sa avvalersi di un’impronta letteraria forte e indipendente, attraverso un’indimenticabile epopea, in cui il dato pratico, il numero, l’evento, non soverchiano mai la potenza del protagonista, la sua avventura umana, il destino di chi, coscientemente, sa di dover fare della propria vita un’opera d’arte.