Finita la guerra, lo scrittore fa tappa a Milano dove conosce personalmente l’editore Gian Dàuli, col quale aveva già collaborato per la traduzione del Voyage. Rilevanti, in questo periodo, sono le pubblicazioni di due romanzi autobiografici dell’esilio parigino: Amori a Montparnasse (1945) e Anime di esiliati (1945).
Collabora con l’editore Lucchi, scrive qualche libro di serie b sul nazismo e dopo due anni ritorna nel suo paese d’origine, per poi emigrare nuovamente a Parigi e cercare successo Oltralpe.

Ma, ancora una volta, troverà le porte chiuse e ricomincerà la solita vita di collaborazioni futili e sterili, sopravvivenze quotidiane, traduzioni di poco conto, rielaborazioni di vecchi scritti… È una strenua lotta, che non giunge mai a un dunque e lo porta anzi a peggiorare le sue condizioni di salute, già messe a dura prova durante la guerra.

Si trasferisce a Latte di Ventimiglia, dove campa grazie al sostegno economico di qualche amico. Nel 1960, ormai prossimo alla morte, Luigi Alessio è provato nel corpo e nello spirito. Una vita di vagabondaggi, umiliazioni, tentativi a vuoto, passioni tormentate, solitudine, sofferenza, miseria, digiuno, abbandoni, disillusioni… Potrebbe sembrare, a tratti, la vita di un uomo irrealizzato, dalle sfaccettature deprimenti e fallimentari, ma andando a scavare vi troviamo una sottile e tenacissima linea di fondo che testimonia la costanza, l’indistruttibile pervicacia, la maniacale coerenza con cui l’uomo ha sfidato la vita a duello, battendosi con essa al limite del fanatismo esistenziale, costringendola a patteggiare e ad ammettere la superiorità dell’uomo sul fato.

La sua, come documenta accuratamente l’amico fraterno Clemente Fusero, è una Ricerca con la erre maiuscola. È il viaggio di un uomo che sceglie, a fronte della solitudine in cui si trova invischiato fin dai primi vagiti, di consacrare la propria esistenza al valore morale. Sceglie di elevare lo spirito e di rinunciare ai beni materiali. Non lo si può definire con un titolo piuttosto che con un altro perché in Alessio vi è il progetto di un’umanità inqualificabile: un’umanità dedita, con ogni fibra del proprio essere, all’ottenimento di una risposta. Chi sono io? Questa è la domanda che si pone Alessio. Lo scrittore, il traduttore, il girovago, l’amante, il comunista, l’orfano, il tuttofare… Come sottolinea al giornalista Paolo Zappa, che lo intervista a Montparnasse, un nome è solo un’etichetta, nulla più.

E così Alessio, un passo dopo l’altro, parte per una missione disperata e impossibile: scoprire chi si nasconde dietro la maschera. Ogni anfratto, ogni atomo della sua esistenza è votato allo scopo. Destituire il demiurgo dal suo trono, bruciare i fantocci della materia, strappare il sipario e ammirare la bellezza di ciò che vi sta dietro.

Perché l’amore? Perché il dolore? Perché la morte? Perché la brama di potere?
Alessio indaga la propria natura e quella dei suoi simili col cipiglio del cronista, la tenacia dell’avventuriero, la fede di un eremita francescano, la logica inoppugnabile di un positivista dell’800.

Quando al limitare della sua esistenza, con le ginocchia frantumate dalla stazza gonfia e lenta, la memoria segnata dalle cicatrici del tempo, il cuore spezzato in ogni punto possibile dagli infiniti amori, il cervello allenato a registrare ed elaborare maniacalmente ogni dettaglio, la coscienza di aver spremuto ogni possibile verità parziale, ecco che lo scrittore, l’uomo, il condottiero, deporrà le armi e si accascerà per l’ultima volta sul letto di un ospedale. Non più quello del Cottolengo, la clinica psichiatrica dalla quale fuggirà, né quella della vecchia casa di famiglia, ormai resa irriconoscibile da chi vi abita e straniera agli occhi del suo antico proprietario, ma il letto spartano dell’ospedale di paese, dove i vecchi amici lo fanno ricoverare per l’incalzante peggioramento delle condizioni di salute. Fa fatica a parlare, lui che ha riempito migliaia di pagine e rallegrato la vita a chi gli stava intorno con la sua inguaribile verve da ultimo dei romantici. Fatica a muoversi, lui che era stato ovunque a bordo di quella carcassa fatiscente che ora giace immobile: dagli Appennini alle Alpi, dalla Città Eterna alla bohéme parigina, dalla fame invincibile dell’esilio all’assunzione presso La Stampa, dai postriboli più malfamati di Pigalle alle aule universitarie profumate di idee, innocenza e libertà nella facoltà di Giurisprudenza torinese, dagli amori di una sola notte alla tormentata malattia della donna della sua vita, dalla rinuncia a ogni forma di benessere alla traduzione del romanzo più importante della letteratura francese novecentesca… Alessio è tutto questo ma sa anche, su quel letto d’ospedale, col prete che si rifiuta di accordargli il rito funebre cristiano, che “tutto questo” non conta nulla. Conta quello che ha imparato lungo la strada, quello che ha scoperto, quello che dentro di lui è mutato. E sa che nessuna tonaca potrà mai aiutarlo più di quanto lui non abbia già fatto.
Ora le sue sofferenze sono alla fine.
Cosa vi sia dall’altra parte, se il buio o la luce, spetta a lui scoprirlo.