L’incendio della foresta è un dramma in tre atti pubblicato da Alfredo Formica nel 1930, anno in cui Alessio collabora con la casa editrice in qualità di curatore della collana “Il teatro moderno”.

Il dramma è ambientato all’interno di una sala della villa di Arcadio Serghievic Volodin, anziano nobile appartenente alla frangia aristocratica fedele allo zar di Russia Nicola II, il cui morale è messo a dura prova dall’assenza del figlio Sergio, partito per la guerra, e dai crescenti tumulti della classe contadina stremata dalle continue privazioni e intenzionata a ottenere con la forza il riconoscimento dei propri diritti.

Luigi Alessio si avvale di uno sfondo insolito per la rappresentazione della sua pièce teatrale: la brulla e desolata campagna di un villaggio sovietico sulle rive del Volga, a pochi mesi di distanza dall’ormai prossima Rivoluzione d’Ottobre, che vedrà i bolscevichi guidati da Lenin assaltare il Palazzo d’Inverno a Pietrogrado, destituire lo zar e proclamare la Repubblica Sovietica. La conseguente abolizione della proprietà privata delle terre, la distribuzione di queste ultime ai contadini e il trattato di pace firmato con la Germania segneranno l’avvento di una nuova era: la fine del patriarcato zarista e l’avvento del socialismo.

In questo clima di grandi sconvolgimenti socio-politici Alessio si avvale del grande mito della rivoluzione russa per trattare una serie di tematiche che spaziano dalla filosofia alla lotta di classe, dalla religione al nichilismo, dall’esilio al patriottismo, dagli orrori della guerra alle nefandezze della rivoluzione. I membri della famiglia Volodin sfilano in un cupo carosello d’intense passioni, dando sfogo ai demoni che li tormentano, cedendo ora all’idealismo ora al cinismo, dedicandosi chi alla fuga, chi alla lotta e chi alla spasmodica ricerca di un senso nell’esistenza.

La spettrale atmosfera invernale accompagna l’incedere sulla scena dell’arrogante Krüger, subdolo servitore dalle origini germaniche, umile coi potenti e forte con i deboli, spina nel fianco dei contadini del villaggio a causa delle continue vessazioni e dei meschini ricatti. Antagonista di Krüger sarà il Profugo, un ex soldato diretto nell’Oremburgo, fermatosi presso la villa dei Volodin per consegnare le ultime memorie di Sergio, che si scoprirà essere ucciso in guerra da una granata. La tragica notizia riportata dal disertore ussaro scatena la disperazione di Arcadio, sempre più vacillante nella sua posizione di nobile appartenente a un’epoca in via d’estinzione. Se Krüger è lo sgherro dai metodi violenti e repressivi, il Profugo è al contrario un ex-combattente votato alla causa della rivoluzione, pronto a destituire la vecchia classe dirigente e a proclamare la dittatura del proletariato.

Si agitano, nella villa di Arcadio, venti opposti: Katia Vassilievna Rutilov, rifugiatasi in casa Volodin dopo che il padre è morto in Siberia, appartenente allo strato sociale più basso, innamorata perdutamente di Sergio e istigata dal Profugo a fare ritorno nella steppa, nell’orizzonte immenso e piatto di chi non ha denaro né padroni, con lo scopo di unirsi al resto del popolo e destituire il tiranno zarista; Tatiana, nipote di Arcadio, giovane donna emancipatasi grazie all’ambiente universitario di Mosca, in fuga dopo aver partecipato agli scontri con la polizia, restia a ogni forma di moralismo, dissacrante verso gli antichi idoli di casa Volodin e crudamente sincera nei confronti di Katia e del suo amore idealizzato per Sergio; Nastasia Arcadievna, figlia di Arcadio e di sua moglie Anna, sorella di Sergio e oggetto del desiderio di Krüger, giovane ma ardentemente coraggiosa, dalla parte dei contadini sfruttati e avversa al dispotico scagnozzo paterno, pronta a morire per la patria e ad accettare il suo triste destino arrivando persino a consolare chi le sta vicino; Anna Serghieievna, bastone della vecchiaia di Arcadio, provata dalle tremende notizie e dall’assalto imminente da parte dei contadini in rivolta, isolata nel suo dolore, ancorata come il marito a un mondo destinato a scomparire senza lasciare traccia in quel fatidico autunno del 1917; Arcadio, ultimo baluardo di un’aristocrazia bersaglio di epurazioni ed esecuzioni sommarie, capro espiatorio di una palingenesi feroce, quella resurrezione del proletariato destinata ad affossare per sempre la monarchia russa, marcia furibonda e inarrestabile degli ultimi e degli afflitti. È l’ultimo dei grandi, Arcadio.

Un po’ Saul e un po’ Priamo, il suo è un destino da perdente, da padre rimasto orfano dell’unico figlio maschio, impossibilitato a recuperarne il corpo e a concedergli degna sepoltura. Arcadio è anche il vero protagonista dell’opera, tormentato dai fantasmi interiori e dalla morte incombente, sconfitto nell’animo e nel corpo, pencolante tra il riconoscimento delle ragioni del nemico e l’impossibilità di piegare il capo al cospetto dei sudditi ribelli.

Un’opera, L’incendio della foresta, che si avvale dello scenografico contributo della steppa sovietica per rappresentare l’eterna lotta tra il ricco e il povero, il dramma martirologico dell’esilio e la ricerca disperata di salvezza nella fede e nei valori precostituiti. Alessio consegna ai suoi contemporanei un documento che è fortemente autobiografico e in cui sono riscontrabili riflessioni personali sull’immenso enigma dell’esistenza, la caducità degli affetti e la vanità di ogni tentativo di riscossa.