Dei primi nove anni di vita di Luigi Alessio, in quel di Caramagna, sappiamo poco. Alcune, dolorose e splenetiche tracce, le troviamo nel romanzo In grigio e nero.
Laggiù, nella pianura, «[…] vi è una borgata sperduta tra lembi di foreste, praterie e siepi di rovi pungenti: povere ed umili case di contadini. Tra esse, una casa, che si distingue per le sue linee severe e signorili. Vi sono nato io; vi sono morti i miei».

Figlio di un esponente della società alto-borghese dell’epoca, quell’Antonio Alessio medico e chirurgo, le cui conoscenze a nulla varranno dinnanzi alla morte precocissima della moglie, Luigi resterà orfano di madre a nove anni. Un anno dopo anche suo padre morirà, per quelle cabale oscure che solo il destino conosce, lo stesso giorno e mese della moglie. Da questo momento iniziano i resoconti, le cronache di una vita votata alla ribellione, all’arte e alla fuga. È un’infanzia durissima, in cui non vi è spazio per l’amore.

«Attorno a lui, facce nuove. Sullo sfondo del grigio scenario, egli vide tre persone, che s’abituò a chiamare nonno nonna zia. Volle amarli. Non lo amarono. Volle che fossero la sua famiglia. Gli dissero ch’era un intruso. Non ebbe carezze. Non ebbe trastulli. Conobbe solo parole amare, conobbe le percosse. S’abituò a tacere, ad essere solo, ad avere paura».

Lo scenario è da tenebra: il nonno, cadaverico capofamiglia, raglia le sue risate rauche e sardoniche all’indirizzo di chi lo circonda. Mostra disprezzo, rabbia e avidità, mentre la nonna, sorda a qualsiasi tenerezza, glaciale nella sua austera attesa, odia di un odio silenzioso l’uomo che ha sposato e reso ricco con la sua agiatezza.

Nutrito malamente, privato del sonno a causa degli incubi frequenti, impossibilitato a trovare riparo nella letteratura a causa del perentorio divieto imposto dalla tirannide famigliare, Alessio impara presto a fare di necessità virtù, a rendersi invisibile, a chiudere ogni spiraglio illusorio, a gestire il nemico e a prevenire gli agguati affinando i riflessi fisici e morali. Si trincera dietro lo sguardo disilluso e straziato del condannato, del prigioniero cui hanno tolto ogni possibilità di redenzione. Gli è preclusa la dolcezza, l’affetto, la gentilezza. Rannicchiato nell’ombra, ode gemere quel cugino demente chiuso in soffitta e prova con ogni sforzo a sottrarsi ai tentativi di rivalsa degli altri familiari che vedono in lui, immancabilmente, uno straniero.