Libello di trenta pagine, le Rivelazioni sulla tragedia italiana furono pubblicate dall’editore Lucchi nel 1945 all’interno della collana “La verità”, dedicata alla seconda guerra mondiale e al ruolo avuto dal Belpaese nel gran conflitto. In questo breve resoconto cronologico della caduta del regime, Luigi Alessio espone con la consueta confidenza dello storico super partes le vicende che vedono Mussolini alle prese con il convegno di Feltre, l’ultima seduta del Gran Consiglio fascista, il crollo della dittatura (con la conseguente defenestrazione del duce), i quarantacinque confusissimi giorni del governo Badoglio, il retroscena dell’armistizio italiano e infine la fuga dei membri del governo da una Roma ormai assediata dalle forze naziste.
Poche decine di pagine, dunque, che assumono il tono incalzante e disperato di una sequenza di avvenimenti cataclìsmici per il popolo italiano e i suoi rappresentanti politici. Si parte con una breve introduzione circa la situazione militare italiana nel luglio del 1943, tre anni in cui l’aquila romana è protagonista di numerose sconfitte, per un totale di un milione di prigionieri e quasi cinquecentomila morti: Malta, difesa inizialmente da un minuscolo contingente inglese, non è stata presa; l’Africa del nord viene subito riconquistata dagli Alleati, con l’Abissinia, la Libia e la Tunisia costate centinaia di migliaia di morti all’esercito italiano; la campagna di Grecia è un fallimento su tutti i fronti, a partire dall’equipaggiamento del fascio littorio; i duecentomila uomini partiti per la Russia sono stati spazzati via; il mar Mediterraneo è sotto il controllo delle flotte inglesi e americane, con una flotta di 3’000 navi pronta allo sbarco in Sicilia…
Nel complesso la pomposa retorica fascista, gli inutili concioni dei gerarchi e del duce, la stolida perseveranza del governo non fanno che accentuare notevolmente quella sensazione di angoscia e disfatta annidata nel cuore degli italiani. È soprattutto l’alleanza stipulata col mostro germanico che incute timore e disagio: il patto col diavolo tutto trasmette fuorché la convinzione di essersi schierati dalla parte giusta. Questi gli antefatti degli avvenimenti narrati, che si sviluppano dal 19 luglio al 9 settembre del 1943.
La prosa di Alessio, nel complesso, è nitida e libera da ogni j’accuse moralistico. Anzi, a tratti si potrebbe quasi avvertire una sorta di empatia per Mussolini, definitivamente alle corde e abbandonato sia dalla monarchia che dai suoi stessi uomini. Non è così. Lo si nota in alcuni stralci di testo ove l’autore sottolinea le razzie del fascismo che hanno inginocchiato il Paese: mille miliardi di debito pubblico, ministeri ed enti parastatali trasformati in organi autarchici dediti alla corruzione e al saccheggio delle risorse economiche nazionali, orde di plutocrati sanguisughe, confederazioni, società e istituti in cui svaniscono magicamente centinaia di milioni… Il popolo è allo stremo delle forze, la razione giornaliera di cibo è insufficiente a qualsiasi fabbisogno, l’Italia tutta è prossima alla catastrofe.
Ecco che sullo sfondo di un Paese prossimo al collasso l’autore ci mostra le prospettive del partito, dove impazienti si agitano i successori di Mussolini, ansiosi di prendere il comando e destituire l’ormai vetusta e fallimentare ombra del leader carismatico di un tempo. L’occasione si presenta in seguito al Convegno di Feltre, durante il quale Hitler impone a Mussolini la propria volontà: non verranno fornite armi, come richiesto dal duce, all’esercito italiano e anzi, vista l’inetta preparazione dello stesso, saranno gli ufficiali tedeschi a occuparsi della riorganizzazione dell’apparato militare italiano. Hitler sta ovviamente anticipando la futura invasione e la destituzione dell’alleato fascista, ma in tutti i casi la violenta discussione tra i due permette a Grandi e agli altri gerarchi fascisti di indire una convocazione straordinaria del Gran Consiglio per decidere le sorti del partito.
Ecco dunque accadere ciò che Mussolini non voleva. Dalle 17.30 del 24 luglio alle due del mattino del giorno dopo si succedono colpi di scena da far gelare il sangue: accuse reciproche, rivoltelle spianate sul volto degli avversari e dello stesso Mussolini, insulti, urla, svenimenti, bigliettini passati di nascosto sotto il tavolo, allusioni e sospetti crescenti… La seduta si conclude con la maggioranza dei membri del Gran Consiglio concorde sul fatto che Mussolini debba delegare a Vittorio Emanuele III la decisione sulle sorti del Paese. Vale a dire: continuare la guerra a fianco di Hitler o voltare pagina.
L’idea di Grandi, che ha proposto l’ordine del giorno decisivo, è di recarsi dal sovrano e ottenere l’autorizzazione a sostituire Mussolini ma le cose non vanno come previsto. La guida del Paese è affidata a Badoglio mentre Mussolini, che aveva pianificato un colpo di stato, è anticipato e arrestato. Il 25 luglio, in tutta Italia, si odono grida di giubilo e si indicono manifestazioni per celebrare la caduta del regime ma lo smottamento del duce e del partito non cambiano le sorti dell’Italia, che in mano a Badoglio incredibilmente continua a combattere schierata al fianco dei nazisti.
In quel mese e mezzo di governo di transizione succede di tutto: vengono contattati di nascosto gli alleati, si decide per un armistizio poi si procrastina il termine, si rinuncia a un intervento dei paracadutisti britannici per liberare Roma dal giogo nazista, gli italiani perdono tempo favorendo Hitler, gli alleati non capiscono i tentennamenti del generale e temono un inganno da parte degli italiani… Badoglio, in quel lasso di tempo, riesce a commettere ogni tipo di ingenuità possibile.
Infine, la sera dell’8 settembre Eisenhower decide per sé e per l’Italia: l’armistizio è dato e gli alleati interverranno. A Badoglio, alla famiglia reale e ai fascisti rimasti non resta che abbandonare l’Italia in fretta e furia prima che le truppe corazzate tedesche invadano Roma e attacchino il traditore italiano. Il popolo, come sempre, ne pagherà direttamente le conseguenze. Una via crucis lunga nove mesi attende la Città Eterna, violentata e saccheggiata dai germanici oltre ogni possibile resistenza: mille romani fucilati e ventimila deportati nei campi di concentramento sono le stime di un bilancio drammatico, in cui l’autore, che all’epoca visse gli avvenimenti in prima persona, mantiene il suo distacco per esacerbare ancora di più le nefandezze di una classe politica vigliacca, inetta e distruttiva. Un pezzo di storia che, al di là della suspence da thriller incalzante grazie all’ansiosa attesa di risoluzione del conflitto e al dispiegarsi, lungo le trenta pagine di narrazione, di orari dettagliati e sentimenti dei protagonisti, conferma nel cuore di ogni italiano l’amarezza di aver sprecato, più volte, la possibilità di evitare le conseguenze drammatiche delle proprie scelte.