«Le nostre condizioni di salute sono discrete, nonostante i momenti eccezionalmente duri e la mancanza di tutto. Ci difendiamo a denti stretti, in attesa che questo insopportabile stato di cose abbia una fine, perché di questo passo è impossibile continuare. La città, dato il continuo afflusso di rifugiati (tutti in pietosissime condizioni) è passata da un milione a oltre tre milioni di abitanti, che non sanno più dove rifugiarsi e, soprattutto, come nutrirsi. Siamo come assediati: in città non entra più nulla, dato che ferrovie e strade, bombardate e mitragliate giorno e notte, non esistono più; inoltre, mancano totalmente i mezzi di trasporto».

Queste le parole scritte da Luigi Alessio il 24 maggio del 1944 in una lettera inedita indirizzata ai familiari. Sono passati quattro anni da quando lo scrittore ha raggiunto la capitale, anch’essa profondamente trasformata sotto il giogo fascista. I rioni cittadini sono diventati ventidue anziché quattordici, i quartieri sono aumentati e molti di essi, come il Parioli, il Tuscolano o l’Appio-Latino annoverano un elevato numero di abitanti. Si pensi che in dodici anni la popolazione suburbana è raddoppiata. Se durante i primi anni la vita nella capitale risulta essere ancora tutto sommato sopportabile, a partire dal 1943 le cose si fanno più complicate. I danni enormi provocati dai terribili bombardamenti del 19 luglio e del 13 agosto ai quartieri Triburtino, Prenestino, Casilino, Appio e Tuscolano, per un totale di 40’000 vani distrutti e danneggiati, hanno piegato la periferia cittadina.

Saltano ponti, si perdono mezzi di trasporto, vengono distrutte opere d’arte: Roma è storicamente abituata ai saccheggi e alla furia distruttiva dei barbari, ma fino all’estate del 1943 sembrava potesse riuscire a cavarsela a spese di qualche difficoltà nell’approvvigionamento. Invece, il 19 luglio, duecento aerei sorvolano il cielo sopra il Colosseo, sganciando sulle spoglie cittadine, non abbastanza martoriate, non sufficientemente violate, una bomba dopo l’altra, provocando ingenti danni al cimitero del Verano, al Policlinico, alla città universitaria, alla basilica e ai caseggiati popolari di S. Lorenzo, del Prenestino e del Latino. Quelle bombe sembrano sfidare l’appellativo di Città Eterna, con l’obiettivo evidente di sfibrare l’animo dei cittadini, confermando il timore che la guerra stia andando verso una soluzione definitiva e affatto pacifica per il Regno d’Italia.

Durante il giro di boa del 1943, quando Roma diventa “città aperta” agli alleati, i cittadini vivono in continua allerta i movimenti interni delle squadriglie fasciste capeggiate dai facinorosi Bardi e Pollestrini, i bombardamenti delle forze amiche, le deportazioni in Germania, le torture dei Tedeschi nel loro “ufficio” di Via Tasso o quelle perpetrate dagli stessi fascisti in una pensione di via Romagna, mentre la fame, come uno spettro, sfila fra le vie devastate in un macabro corteo accanto agli altri aguzzini partoriti dal regime e dal conflitto.

La paura e l’angoscia di non farcela sono esorcizzate attraverso un alacre impegno professionale, culminante con la pubblicazione del Vocabolario dell’argot (1939), del Bismarck (1939), del Pitagora (1940) e della Storia del lavoro (1940), tutti scritti a scopo alimentare.

Infatti Alessio patisce, come chiunque, la precaria condizione dei rifornimenti, che riferisce nella parte conclusiva della sua missiva: «Da circa due mesi, la razione del pane è stata ridotta a un etto al giorno; e questo è l’UNICO nutrimento su cui possiamo contare, perché da dicembre non c’è più stata alcuna distribuzione di generi tesserati: né pasta, né riso, né fagioli, né patate. Nulla. La verdura è salita a prezzi incredibili: vi basti sapere che un po’ d’insalata costa sulle 50 lire; si mangia erba e la si paga ben 20 lire al chilo». Non manca molto alla fine della guerra e anche se le condizioni in cui verte la popolazione vanno ben oltre il disagio e la paura di non farcela, nel cuore degli abitanti dell’Urbe, come in quella di tutte le città italiane, è germogliata la speranza di vedersi finalmente vinti e salvati dalle forze alleate.